42) Attività ottica di soluzioni zuccherine

Riassunto / Abstract

L’esperienza ha lo scopo di osservare l’attività ottica di alcune soluzioni di composti organici, di determinarne il potere rotatorio specifico e di applicarlo alla misura indiretta della concentrazione di una soluzione.

Si propongono due montaggi dell’apparato sperimentale: uno realizzato con tipica strumentazione di laboratorio di fisica attrezzato, l’altro con uno strumento costruito usando materiale semplice.

Scheda sintetica delle attività

  1. Definizione e illustrazione delle proprietà della luce polarizzata linearmente.
  2. Allestimento su banco ottico di un sistema di misura dell’angolo di rotazione, con tubo polarimetrico e lenti polarizzatrici di laboratorio.
  3. In alternativa, con materiale semplice: costruzione analizzatore con materiale semplice e montaggio di un apparato di misura. 
  4. Con entrambi i sistemi si possono eseguire le  medesime osservazioni e misure; col secondo sistema, anche se meno preciso, si può indagare la dipendenza dell’angolo di rotazione dallo spessore della soluzione attraversata.
  5. Osservazione della presenza o meno di attività ottica in acqua distillata e in soluzioni trasparenti di vario tipo. In particolare si esamineranno soluzioni di fruttosio o di saccarosio a concentrazione nota.
  6. Tracciamento di una retta di regressione tra angolo di rotazione e concentrazione e determinazione del potere rotatorio specifico.
  7. Applicazione: misura della concentrazione incognita di una soluzione.

Risorse necessarie

  • Matracci tarati;
  • un cilindro graduato da 100 mL;
  • acqua distillata;
  • alcool denaturato;
  • confezioni di saccarosio e fruttosio, reperibili al supermercato;
  • bilancia tecnica;
  • piastra elettrica;

Con laboratorio attrezzato:

  • banco ottico o serie di sostegni adatti;
  • coppia di lenti polarizzanti, dotate di scala goniometrica;
  • tubo polarimetrico o vaschetta di vetro;
  • sorgente di luce monocromatica: laser He-Ne se disponibile, altrimenti un semplice puntatore laser, purché ben carico;
  • uno schermo, anche un semplice foglio di carta bianca.

 Versione con attrezzatura minima (esperienza MS):

  • penna con puntatore laser;
  • supporto verticale con alcuni morsetti a pinza;
  • cilindro graduato, o recipiente di vetro con base piana;
  • fogli polarizzatori o, come nel nostro caso, un paio di occhiali rotti con lenti polaroid;
  • tavoletta di legno o compensato;
  • coperchio di un barattolo;
  • chiodini;
  • goniometro stampato su foglio di carta;
  • colla, forbici, martello ecc..

Prerequisiti necessari

  • Realizzare soluzioni a concentrazione nota;
  • Utilizzare foglio di calcolo o le funzioni statistiche delle calcolatrici tascabili;
  • Minime abilità manuali di laboratorio;

Per quanta riguarda la Fisica:

  • conoscenze riguardanti la luce come onda elettromagnetica;
  • conoscenze di base sull’elaborazione di dati sperimentali;

Per quanto riguarda la Chimica

  • definizione di isomeria ottica;
  • riconoscimento di centri chirali in una molecola.

Obiettivi di apprendimento

  • Comprendere perché alcune soluzioni presentano attività ottica;
  • identificare alcune variabili che influenzano il potere rotatorio di una soluzione otticamente attiva;
  • determinare il potere rotatorio specifico delle sostanze analizzate ( saccarosio e fruttosio) ricavandolo da una retta di regressione;
  • comprendere il principio di funzionamento e gli impieghi di un polarimetro.

Dotazioni di sicurezza

Non puntare il laser negli occhi delle persone nè guardare direttamente la sorgente.

Svolgimento

L’attività può essere organizzata in tre o quattro momenti, a seconda delle possibilità organizzative.  I momenti sono distinti per il contenuto: ciascuno di essi prevede sia attività sperimentale, sia discussioni e spiegazioni. Noi seguiremo la seguente scansione:

  1. In che cosa consiste la luce polarizzata linearmente (un’ora).
  2. Osservazione dell’attività ottica di soluzioni zuccherine e misura del potere rotatorio (una-due ore).
  3. Elaborazione dati e interpretazione dell’attività ottica delle soluzioni zuccherine (un’ora).

1. In che cosa consiste la luce polarizzata linearmente

1.1. La polarizzazione della luce è possibile per il fatto che le onde elettromagnetiche sono onde trasversali: le variazioni di campo elettrico e di campo magnetico, tra loro concatenate, sono rappresentate da vettori perpendicolari alla comune direzione di propagazione.

D’ora in avanti, per semplicità di esposizione, si farà riferimento al solo campo elettrico senza nominare il campo magnetico, assumendo che la “propagazione delle onde elettromagnetiche” sia già stata trattata in precedenza.

1.2 L’oscillazione del campo elettrico può avere una direzione qualsiasi tra quelle che giacciono nel piano al quale la direzione di propagazione è normale. Generalmente tale direzione è casuale, variabile nel tempo e nello spazio.

Figura 1: direzioni possibili di una perturbazione di campo elettrico.

Un’onda si dice polarizzata linearmente  se il campo elettrico si propaga oscillando sempre nella stessa direzione. In ogni istante l’insieme dei vettori che descrive l’onda giace in un piano contenente direzione di propagazione e direzione di oscillazione.

Figura 2: grafico “istantaneo” (in un istante t) dell’onda di campo elettrico che giace, per ogni z, in un piano.

1.3 La luce naturale, emessa da generiche sorgenti luminose, non è polarizzata. Un modo per polarizzare la luce consiste nel farla passare attraverso un “filtro polarizzatore”.
Un filtro polarizzatore è un corpo trasparente che trasmette solo la componente del campo elettrico parallela ad una particolare giacitura, detta “asse di polarizzazione”: perciò l’onda che emerge dal polarizzatore oscilla solo nel piano che contiene l’asse di polarizzazione.

I filtri polarizzatori di comune impiego contengono strati di materiale “dicroico”, ossia un materiale avente, nei confronti delle onde elettromagnetiche, coefficienti di assorbimento diversi in due direzioni tra loro perpendicolari.
 Le lenti note con il nome commerciale “polaroid” derivano da fogli polarizzatori ottenuti con tecniche varie, ad esempio a partire da cristalli submicroscopici di erapatite o di altre sostanze contenenti iodio, orientati con opportuni procedimenti.
 Esistono anche altre modalità di polarizzazione: si possono invitare gli studenti interessati ad approfondire l’argomento con ulteriori ricerche.

1.4 Con due filtri si ha un sistema polarizzatore-analizzatore. Essi vanno disposti consecutivamente lungo un fascio di luce. Il primo polarizza la luce; il secondo (l’analizzatore) la trasmette solo se gli assi di polarizzazione di entrambi i filtri sono paralleli. Ruotando l’analizzatore, la luce che ne emerge diminuisce di intensità, fino alla completa estinzione che si ha quando i due assi di polarizzazione sono tra loro ortogonali.

Figura 3: il primo filtro polarizza la luce (è rappresentato simbolicamente l’asse di polarizzazione).

Nel caso a sinistra, il secondo filtro (analizzatore) permette il passaggio della luce (filtri “paralleli”);
nel caso a destra, l’analizzatore è stato ruotato di 90° e blocca la trasmissione della luce (filtri “incrociati”).

1.5 Questa parte introduttiva si può concludere con una breve attività pratica; l’ideale sarebbe distribuire coppie polarizzatore-analizzatore a piccoli gruppi e lasciare cinque minuti di attività libera. Questo permette agli studenti di familiarizzare con i concetti appena spiegati (una “spiegazione frontale” è sempre insufficiente).

Si possono aprire ulteriori approfondimenti esaminando la luce polarizzata emessa da uno schermo LCD (a cristalli liquidi). Una variante, che può avere attinenza con l’argomento principale, è indagare l’effetto del nastro adesivo trasparente appiccicato allo schermo LCD. Osservando lo schermo con un polaroid risulta che la luce che attraversa il nastro è polarizzata in una giacitura diversa da quella che non lo attraversa. Manovrando il polaroid (di fatto è un analizzatore), gli studenti possono da soli dedurre che il nastro adesivo ha causato la rotazione del piano di polarizzazione attorno alla direzione di propagazione. Questa preliminare osservazione (sarà quasi un gioco provare con più sovrapposizioni del nastro), aiuterà a introdurre immediatamente il concetto di attività ottica. Vale la pena notare che il nastro adesivo è fatto di materiali plastici, cioè composti organici del carbonio.

Figura 4: effetti del nastro adesivo sulla luce proveniente dallo schermo LCD di un notebook.

1.6 Un caso notevole è la polarizzazione circolare. Questa è la come somma di due onde polarizzate linearmente, aventi stessa frequenza, stesso modulo e diverso piano di polarizzazione. Il vettore campo elettrico, in un punto, non risulta oscillante ma ruota con velocità angolare e modulo costanti. Il campo elettrico si propaga descrivendo un’elica a passo costante che, osservata lungo la direzione di propagazione, può risultare oraria o antioraria, in dipendenza della differenza di fase tra le due onde componenti.

Figura 5: propagazione di un’onda polarizzata circolarmente.

1.7  Per gli sviluppi che avrà l’argomento, il caso della polarizzazione circolare è interessante perchè la stessa polarizzazione lineare può a sua volta essere descritta come sovrapposizione di due onde polarizzate circolarmente, aventi uguali modulo e frequenza, e rotanti in senso opposto l’una all’altra. La differenza di fase tra le due onde determina la giacitura del piano di polarizzazione. Questo modello sarà alla base della interpretazione del potere rotatorio delle molecole otticamente attive. 

Nella figura sono rappresentati tre istanti in cui il campo elettrico oscillante E (il vettore che sta sull’asse “verticale”) risulta essere la somma vettoriale di due campi elettrici rotanti in senso opposto. La direzione di propagazione è normale al disegno.

Figura 6: composizione di un’onda polarizzata linearmente (campo E) in due onde polarizzate circolarmente, rotanti in senso opposto.

2. Osservazione dell’attività ottica di soluzioni zuccherine e misura del potere rotatorio specifico.

2.1 Definizione di attività ottica

Determinate sostanze mostrano “attività ottica”, definita come la capacità di far ruotare il piano di polarizzazione della luce che le attraversa. Si può avere attività ottica sia con cristalli sia con soluzioni acquose di sostanze organiche, come agli zuccheri. Poiché l’acqua non è otticamente attiva, come si può mostrare preliminarmente, l’attività ottica deve essere attribuita alle molecole del soluto.

Figura 7: attività ottica e rotazione del piano di polarizzazione.

2.2 Come si rivela l’attività ottica di una soluzione

In una prima modalità di lavoro, per laboratorio attrezzato, si utilizza un “banco ottico”, costituito da :

  • una sorgente di luce preferibilmente monocromatica;
  • una coppia di filtri polarizzatore-analizzatore;
  • uno schermo (può bastare un foglio di carta bianca su cui esaminare la luce che attraversa il sistema)
  • un tubo polarimetrico (o cella): è, quest’ultimo, un recipiente cilindrico di vetro da collocare tra polarizzatore e analizzatore, in modo che sia attraversato longitudinalmente dal fascio di luce.

    Figura 8 : schema completo di un polarimetro

L’idea principale è la seguente:

a) si invia un fascio di luce che il primo filtro provvede a polarizzare linearmente; la cella polarimetrica è vuota e quindi non produce effetti. Si ruoterà l’analizzatore fino ad ottenere l’estinzione della luce; la luce non passa perché il piano di polarizzazione è perpendicolare all’asse dell’analizzatore.

b) nella cella polarimetrica si versa una soluzione trasparente; se sullo schermo non appare nulla, la soluzione non è otticamente attiva; se invece riappare la luce, significa che la sostanza messa nella cella ha ruotato il piano di polarizzazione della luce, permettendole di attraversare l’analizzatore, e quindi è otticamente attiva.

c) ruotando opportunamente l’analizzatore si può ottenere di nuovo l’estinzione della luce. La misura della rotazione dell’analizzatore (corredato di goniometro) è la rotazione impressa dalla soluzione posta nella cella al piano di polarizzazione della luce. Tale rotazione può risultare positiva o negativa: questo permette una classificazione delle sostanze otticamente attive in “levogire” e “destrogire”.

L’esperienza che si descrive è stata eseguita con soluzioni di saccarosio e di fruttosio.

2.3  Dettagli operativi

Le soluzioni zuccherine vanno preparate in matracci graduati con un certo anticipo, possibilmente il giorno prima dell’esperienza.

Si pesano 250 g di saccarosio \(C_{12}H_{22}O_{11}\) e si diluiscono con acqua distillata fino al volume finale di 500 mL, ottenendo una soluzione con concentrazione 0,5 g/mL. Altrettanto si può fare con il fruttosio \(C_6 H _{12}O_6\).

Per facilitare la dissoluzione vanno riscaldate alla piastra e si lasciano riposare alcune ore. Si otterranno due soluzioni limpide, da conservare in frigorifero per giorni. 

Si montano sul banco ottico due lenti polarizzatrici e, allineato fra le due, il tubo polarimetrico, inizialmente vuoto.

Come sorgente si può utilizzare un puntatore laser da conferenze o una sorgente laser, se in dotazione.

Le varie parti devono essere allineate in modo che il raggio luminoso attraversi le lenti e il tubo polarimetrico proiettandosi su uno schermo. Il punto luminoso ha la massima intensità quando il polarizzatore e l’analizzatore sono orientati nello stesso modo; ruotando l’analizzatore si osserva una diminuzione di intensità del punto luminoso fino all’estinzione quando l’analizzatore è ruotato di 90° rispetto al polarizzatore.

Mantenendo questa configurazione a 90° dell’analizzatore rispetto al polarizzatore si saggiano diverse soluzioni, cominciando dall’acqua distillata e dall’alcool denaturato. Si nota che né l’acqua distillata né l’alcool denaturato presentano attività ottica.

Ripetendo l’osservazione con la soluzione di saccarosio, si osserva invece la comparsa del punto luminoso sullo schermo: è la prova che la soluzione ha ruotato il piano della luce polarizzata che quindi riesce, almeno in parte, a superare l’analizzatore. Per ripristinare la condizione di estinzione si dovrà ruotare l’analizzatore di un certo angolo.

La sostanza è destrogira quando l’analizzatore viene ruotato in senso orario, guardando nella direzione da cui proviene la luce.

Si osserverà che una soluzione di saccarosio è destrogira, mentre il fruttosio è levogiro.

Ogni volta che si cambia soluzione, la cella polarimetrica va risciacquata accuratamente, e l’analizzatore va riportato alla posizione originaria (zero).

Mediante opportune diluizioni successive, si ottengono le concentrazioni desiderate e si misurano gli angoli di rotazione corrispondenti.
Gli studenti partecipano all’esperienza preparando le diluizioni ed effettuando le misure di angolo.

2.4  Risultati

In tabella 1 si riportano i valori ottenuti con il saccarosio:

Tabella 1

I punti sperimentali risultano approssimativamente allineati lungo una retta. Si traccia una retta che si avvicini ad essi in modo “equilibrato”, e se ne ricava il coefficiente angolare con la consueta relazione della geometria analitica .

Con un po’ più di rigore, si può ricavare la retta di regressione, definita come la retta per la quale risulta minima la somma dei quadrati degli scarti tra valore misurato e valore dato dalla retta stessa. Poiché per concentrazione nulla non si ha alcuna rotazione del piano di polarizzazione (punto 0;0) si può imporre che la retta di regressione passi per l’origine, e in tal modo si deve determinare un solo parametro: il coefficiente angolare.

Indicata con \(y = kx\) l’equazione della retta di regressione,  si può dimostrare che il coefficiente angolare risulta:

\[k = \frac{ \sum xy}{\sum x^2}\]
dove \(x\) e \(y\) sono le coordinate dei punti sperimentali.

Figura 9: retta di regressione

La retta di regressione ottenuta con i dati di tabella 1 (figura 9) risulta avere un coefficiente angolare pari a 57,1 gradi/(g/mL).

2.5 Il potere rotatorio specifico di una soluzione.

Il “potere rotatorio specifico” di una soluzione, indicato con \(\alpha_{\lambda,T}\), è il coefficiente che appare nella relazione tra l’angolo di rotazione e gli altri fattori da cui esso dipende:

\[\alpha = \alpha_{\lambda,T} \cdot l \cdot c\]

Il potere rotatorio specifico, \(\alpha_{\lambda,T}\), dipende dalla natura della soluzione e dalla temperatura (da cui il pedice T). Misure precise indicano anche una dipendenza dalla lunghezza d’onda della luce (per questo si pone a pedice anche \(\lambda\)).

Con questa relazione si ammette che l’angolo di rotazione \(\alpha\) dipenda linearmente dalla concentrazione \(c\) e dalla lunghezza \(l\) di soluzione attraversata dalla luce: ogni tratto di soluzione attraversata dalla luce imprime al piano di polarizzazione una rotazione, per così dire, “unitaria”. Maggiore è la lunghezza attraversata dalla luce nella soluzione, maggiore è l’angolo finale di rotazione.

In base alla definizione, il potere rotatorio potrà essere misurato una volta che siano noti la lunghezza della cella polarimetrica, la concentrazione e l’angolo di rotazione dalla relazione:

\[\alpha_{\lambda,T} = \frac{\alpha}{l \cdot c}\]

E’ consuetudine esprimere il potere rotatorio in gradi/(dm g/mL).

Per quanto, in linea teorica, sia sufficiente una sola misura, è utile esaminare varie situazioni, con concentrazioni diverse e i corrispondenti angoli di rotazione, a parità di spessore di soluzione (lunghezza della cella polarimetrica). Il fatto che i punti sperimentali, rappresentati in un diagramma, risultino allineati conferma la bontà del modello di diretta proporzionalità adottato.

Nel nostro caso, poiché la cella polarimetrica ha una lunghezza di 10 cm = 1 dm,  il potere rotatorio del saccarosio in acqua risulta 57,1 gradi/dm(g/mL). 

Sarebbe interessante anche verificare la proporzionalità tra angolo e lunghezza di attraversamento della soluzione da parte della luce. Questa indagine è possibile con il dispositivo descritto qui di seguito. 

2.6 Versione operativa con polarimetro costruito con materiale semplice

Quando non si dispone degli strumenti sopra indicati, si può costruire un polarimetro con attrezzatura minima nel modo che ora sarà descritto.

L’elemento necessario all’esperienza è una coppia di filtri polarizzatori: nel nostro caso si è usato un paio di occhiali da sole polaroid rotti (figura 10).

Figura 10: lenti polaroid utilizzate

Come si può intuire, si userà una delle due lenti come primo filtro polarizzatore e l’altra come analizzatore vero e proprio.

Naturalmente non è necessario rompere un paio di occhiali: fogli dicroici si possono acquistare con spesa accessibile, e da essi si ritagliano i due filtri desiderati.

Il requisito è che l’analizzatore che andremo a costruire permetta il passaggio di un fascio di luce nella zona centrale del filtro e al tempo stesso possa essere ruotato attorno ad un punto che sia il centro di un goniometro.

La proposta qui presentata prevede la lavorazione di una tavoletta di legno, operazione che richiede del tempo e che non sempre può essere svolta a scuola. Si possono preparare separatamente le varie parti del sistema, e poi montarle a scuola. Il montaggio richiede solo forbici, colla e martello e quindi questa fase può essere eseguita in aula dagli studenti. Sono possibili altre soluzioni, naturalmente; ad esempio con il cartoncino.
Il materiale necessario è :

  • una lente polaroid o un qualsiasi foglio polarizzatore da cui ricavarla;
  • il coperchio di un vasetto di vetro, del tipo di quelli della marmellata, di diametro adatto ad ospitare la lente;
  • una tavoletta di legno;
  • alcuni chiodi sottili;
  • un goniometro stampato su un foglio di carta;
  • idonei attrezzi da lavoro.
Figura 11: materiale necessario

Preparazione:

  • Al centro del coperchio si pratica un foro del diametro di 15-20 mm. Si può ora alloggiare la lente nel coperchio e fissarla in modo che non si muova rispetto ad esso (figura 12).
    Non è necessario che il foro risulti perfettamente circolare; può essere tagliato con un paio di forbici robuste, avendo cura di non lasciare sbavature taglienti. Si deve aver cura di non deformare il coperchio, affinché resti circolare.
Figura 12:
  • Per creare e stampare su carta il goniometro che si vede nelle foto si è usato Geogebra.
    Il goniometro è costituito da una raggiera di rette (è sufficiente un angolo di 5° tra due rette successive) e da alcune circonferenze concentriche che serviranno da riferimento sia per la successiva foratura sia per collocare il coperchio che contiene la lente in posizione corretta. Sarà utile che una delle circonferenze abbia un diametro di poco superiore (mezzo millimetro circa) a quello del coperchio. 
  • Il goniometro va incollato sulla tavoletta di legno, e questa va forata in corrispondenza del centro (con un seghetto da traforo, ad esempio), (figura 13).
     Anche in questo caso non è essenziale che il foro sia perfetto: basta che sia più piccolo del coperchio.
     Il goniometro può anche essere incollato successivamente alla foratura, purché in posizione sufficientemente centrale.

    Sia il foro nel coperchio, sia il foro nella tavoletta hanno lo scopo di far passare il fascio di luce.

    Figura 13
  • Si colloca il coperchio con l’analizzatore sulla tavoletta in posizione concentrica al goniometro, aiutandosi con le circonferenze riprodotte sul goniometro stesso. Lungo il bordo del coperchio, esternamente ad esso, si fissano 4-5 chiodi: serviranno a mantenere il coperchio in quella posizione permettendogli, al tempo stesso, di essere ruotato manualmente (figura 14).
Figura 14
  • Lo strumento è pronto.
    Conviene non predisporre alcun indice fisso, ma utilizzare di volta in volta un pennarello con la punta sottile per tracciare, sul bordo del coperchio, su breve tratto che possa essere cancellato facilmente (inchiostro non permanente).

Il dispositivo di misura può essere montato, ad esempio, nel modo indicato in figura 15. Un supporto e una serie di morsetti a pinza sosterranno, nell’ordine, i seguenti oggetti: un puntatore laser, rivolto verso il basso; la prima delle due lenti, che fungerà da polarizzatore; un cilindro graduato in vetro (i materiali plastici sono otticamente attivi!) che conterrà la soluzione zuccherina; l’analizzatore; un foglietto bianco che faccia da schermo. L’analizzatore dovrà essere fissato in modo particolarmente saldo affinché non si sposti durante la manipolazione.

Si dovrà anche predisporre una tabella di corrispondenza tra volume contenuto nel cilindro e altezza del liquido, che rappresenta la spessore di soluzione attraversata dalla luce. In questo modo si potrà verificare anche che l’angolo di rotazione è proporzionale all’altezza di soluzione contenuta nel cilindro.

Figura 15

Inizialmente si ruoterà l’analizzatore fino alla posizione che dà estinzione del fascio di luce. A quel punto, con un pennarello sottile, si segnerà sul bordo del coperchio un breve tratto in corrispondenza dello zero del goniometro.
Nel cilindro si versa la soluzione zuccherina. Al solito, si dovrà operare con una opportuna separazione delle variabili: si possono versare quantità diverse, corrispondenti alle altezze desiderate, ma sempre con la stessa concentrazione (si consiglia un valore piuttosto alto); oppure variare le concentrazioni, riempiendo il cilindro alla massima altezza.

In ogni caso, se la soluzione è otticamente attiva, la luce riappare sotto l’analizzatore. Allora si ruota il coperchio fino a ripristinare l’estinzione del fascio di luce. Il segno fatto con il pennarello sarà l’indice per la lettura dell’angolo. Una risoluzione di 5° è più che adeguata allo strumento.

3. Interpretazione dell’attività ottica delle soluzioni zuccherine.

3.1 Isometria ottica
La presenza di un atomo di C asimmetrico è all’origine di una particolare stereoisomeria, detta isomeria ottica. La coppia di isomeri ottici (enantiomeri) è costituita da due molecole speculari, non sovrapponibili, dotate di proprietà identiche tranne che per la capacità di ruotare il piano della luce polarizzata in un verso o in quello opposto. Le due forme vengono distinte, convenzionalmente in D ( destrogira) ed L ( levogira) in base al verso di rotazione del piano della luce polarizzata. Non esiste nessuna relazione fra il verso di rotazione e la successione in senso orario o antiorario dei gruppi legati al carbonio. Le molecole degli zuccheri semplici, come il glucosio e il fruttosio, contengono diversi atomi di carbonio asimmetrici. Molecole siffatte si dicono “chirali”, cioè sono specularmente identiche, come le mani (da cui il nome di etimologia greca).

Se in una sostanza sono presenti molecole dell’uno o dell’altro isomero in pari quantità, non si notano fenomeni di attività ottica. Ne è un esempio il quarzo naturale, inorganico, le cui molecole si sono aggregate sotto la lunga azione del raffreddamento e delle forze elettromagnetiche.
Quando però siamo in presenza di molecole organiche derivanti dall’attività metabolica di particolari enzimi, questi ultimi producono solo uno dei due isomeri: La prevalenza di un isomero rispetto all’altro è rivelata dall’attività ottica della sostanza in esame. A conferma di questa ipotesi, si verifica che se la stessa sostanza invece viene prodotta sinteticamente, si formano i due isomeri in uguali quantità, e non si riscontra attività ottica.

3.2 Attività ottica
Ricordiamo ora che la velocità di trasmissione di un’onda elettromagnetica in un mezzo è legata all’interazione con le cariche elettriche presenti nelle molecole. Cosa succede se un’onda elettromagnetica e, in particolare, un’onda polarizzata linearmente, investe una sostanza le cui molecole presentano strutture isomeriche?

Possiamo prendere una linea elicoidale come modello della struttura stereoscopica di queste molecole, come spesso accade per le molecole organiche. L’elica potrà essere destrorsa o sinistrorsa, e tale caratteristica è una proprietà intrinseca, non legata ad un particolare punto di vista.
Ricordiamo che un’onda polarizzata linearmente può scomporsi in due onde polarizzate circolarmente, una destrorsa e una sinistrorsa.

E’ allora abbastanza intuitivo ammettere che la trasmissione, nella direzione dell’asse dell’elica molecolare, di una delle due onde polarizzate circolarmente sia favorita da uno solo dei due isomeri, e quindi risultino diverse le due velocità di trasmissione delle onde che compongono l’onda polarizzata linearmente. Di fatto le due onde procedono con due diverse velocità (figura 16). Il campo elettrico risultante ha una direzione diversa dalla direzione iniziale, e varia gradualmente a mano a mano che l’onda procede nel mezzo. L’effetto macroscopico osservabile è che l’onda rimane polarizzata linearmente, con graduale rotazione del piano di polarizzazione lineare.

Figura 16: la velocità di una delle due onde polarizzate circolarmente è maggiore dell’altra. Lungo l’asse z (direzione di propagazione), i campi elettrici hanno una risultante che prende una direzione diversa dalla direzione iniziale. Di conseguenza il piano di polarizzazione risulta ruotato.

Questo modello, pur semplificato, è intuitivo, ma abbastanza fedele. Spiega sia la dipendenza della rotazione dalla concentrazione sia la dipendenza dalla lunghezza attraversata (più molecole la luce incontra, più subisce rotazione). Inoltre spiega anche la mancanza di attività ottica per sostanze di sintesi, aventi l’uno e l’altro degli isomeri, per cui gli effetti si annullano.

Analisi più avanzate mostrano che l’effetto non dipende dall’orientazione delle singole molecole rispetto alla direzione della luce.

4. Applicazione

A conclusione dell’esperienza si può simulare un’applicazione: la misura indiretta di una concentrazione.

Si prepara una soluzione di sostanza di cui è noto il potere rotatorio specifico, senza comunicarne la concentrazione. Si sottopone la soluzione all’indagine polarimetrica, si misura l’angolo di rotazione e, con la solita relazione, si ricava la concentrazione (da confrontare con il valore noto a chi ha preparato la soluzione).

Questo procedimento è alla base degli strumenti polarimetrici utilizzati nei laboratori.

A tutta l’attività possono essere dedicate tre ore. Nel caso si potesse organizzare un’attività per piccoli gruppi di studenti, potrebbe servire un’ora in più per guidare gli studenti nella fase sperimentale. Se il dispositivo sperimentale fosse uno solo, si possono invitare a turno gli studenti a intervenire in modo diretto sulle operazioni pratiche (montaggio, preparazione delle soluzioni, delle diluizioni, misura degli angoli, eccetera).

Bibliografia

  • Alessandro Bettini, Le onde e la luce, Decibel editrice, Padova

Autori

Bernardi Mariangela
De Franceschi Vittorio

Specifiche esperimento


Materia
Chimica
Classi a cui è rivolto
2° biennio
Tipologia di laboratorio
Strumentazione semplice
Reperibilità del materiale
Negozi specializzati, siti web
Materiale specifico
Vetreria da laboratorio, fogli polarizzatori, penna laser, goniometro
Durata esperimento in classe
3 h
Capacità di bricolage/assemblaggio

Necessità lavorazioni meccaniche/elettroniche
No
Necessità PC per acqusizione/analisi dati
No
Necessità di uno smartphone
No
Parole chiave
Chimica
Chimica organica
Stereochimica
Polarizzazione

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